La notizia della mancata proroga del “Decreto crescita” da parte dell’esecutivo (era previsto un ulteriore beneficio fiscale fino al 29 febbraio) ha scatenato le lamentele delle società calcistiche professionistiche italiane, per la conseguente riapplicazione delle aliquote fiscale contributive per i calciatori provenienti dall’estero che beneficiavano di sgravi fiscali fino al 50%.

Il “pianto greco” espresso dalle maggiori società pallonare, alla notizia della mancata proroga da parte del Governo, ridesta la memoria cinematografica della pellicola della commedia italiana “I Tartassati”, allorché il maresciallo della Tributaria, Fabio Topponi, alias Aldo Fabrizi, si indigna per la proverbiale indulgenza italica. “Poverini, bisogna capirli, hanno bisogno…”. Ma “poverini” le società calcistiche non lo sono.

Il nuovo entertainment pallonaro si lamenta del taglio del decreto crescita, e conseguentemente di dover versare interamente, senza sconti, i contributi fiscali alle casse dell’erario.

Nulla di eccezionale (l’eccezione era lo sgravio fiscale); una “normalità”, come qualunque datore di lavoro che si avvale della collaborazione di lavoratori residenti in Italia.

Una incomprensibile e irritante lamentela che contrasta con la tutela dei settori giovanili; della esiguità del numero di giovani calciatori italiani nelle “rose” della squadre della massima serie; delle difficoltà dei vari Commissari Tecnici nella scelta delle convocazioni per la Nazionale che generano le mancate qualificazioni ai Campionati mondiali, l’abnorme difficoltà ad accedere alla fase finale del Campionato europeo, i risultati non esaltanti di questi ultimi 3 anni. E’ sconcertante pensare alle contraddizioni che albergano nel dorato mondo elitario del calcio moderno.
La richiesta di benefici fiscali è avanzata da proprietari di fondi speculativi, magnati, super ricchi, provenienti da ogni parte del globo e possessori di ingenti risorse economiche. Entità finanziare multimiliardarie, senza alcun legame con il territorio di appartenenza dei sodalizi calcistici, che acquistano le nostre compagini storiche (talvolta senza nemmeno conoscere il numero dei trofei europei conquistati in oltre un secolo) solo e unicamente per produrre profitti e introiti, versare dividendi, crearsi una nuova immagini di successo personale e per le loro nazioni di origine, senza nemmeno un barlume di passione e senso di identità e appartenenza che contraddistinguevano i “vecchi” presidenti mecenati.

La loro, è una lamentela offensiva, inopportuna, e insensibile, in un contesto sociale e storico dove una larga parte dei lavoratori sono mal pagati, precari, con enormi difficoltà ad affrontare le spese mensili ordinarie (quelle inattese e straordinarie sono drammi).
Attendo trepidante, che il popolo dei tifosi declami la sua disapprovazione con la stessa espressione facciale e verbale del graduato dell’Intendenza di Finanza, Topponi-Fabrizi.

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Massimo Puricelli
Castellanza (VA)