Metà degli ospedali non ha attivo un Servizio dedicato, notevoli le differenze regionali
Nonostante la riconosciuta professionalità degli anestesisti, i modelli di cura individuati dalle Società scientifiche, le prescrizioni della Legge 38, la disponibilità di trattamenti efficaci e l’esistenza di linee guida ‘evidence based’, la gestione del dolore post operatorio in Italia risulta ben al di sotto degli standard europei, e può essere definita subottimale. Lo rileva – suffragando l’allarme con una notevole mole di dati – un articolo scientifico realizzato da un’equipe guidata dalla professoressa Flaminia Coluzzi, docente di Anestesia e Rianimazione dell’Università ‘La Sapienza’ di Roma, e pubblicato a novembre sulla European Review for Medical and Pharmacological Sciences. L’articolo propone un raffronto fra i dati raccolti attraverso due survey – del 2006 e del 2012, su un campione rappresentativo di oltre il 40% degli ospedali pubblici italiani (ben 289 le strutture che hanno risposto alla survey del 2012) – realizzate a cura della SIAARTI (Società Italiana di Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia Intensiva). I risultati di queste indagini sono stati discussi oggi nel corso di una conferenza stampa che si è svolta a Milano.
Dal punto di vista dell’organizzazione, solo la metà degli ospedali analizzati – e con notevoli sperequazioni regionali – ha attivato un Servizio del dolore acuto post operatorio (Acute Pain Service): un’unità delineata dalla SIAARTI e inserita nelle linee guida già nel 2010, secondo un modello organizzativo nel quale l’anestesista deve assumere un ruolo di coordinamento di un team responsabile proprio della gestione del dolore post operatorio.Dal punto di vista dei servizi, solo il 10% dei pazienti sottoposti a intervento chirurgico ha ricevuto un trattamento del dolore post operatorio rispondente alle linee guida, che richiedono un trattamento personalizzato sul tipo di paziente e sul tipo di dolore. Si tratta di terapie multimodali e controllabili dal paziente sotto supervisone medica.
“Tutti noi siamo consapevoli che nonostante la riconosciuta preparazione degli anestesisti, i quali hanno il compito istituzionale di garantire l’analgesia in fase post chirurgica, il dolore post operatorio è trattato nella maggior parte dei casi attraverso presidi a infusione fissa e continua – afferma il professor Guido Fanelli, Direttore della U.O.C. di Anestesia e Rianimazione e del Centro Hub di terapia del Dolore dell’A.O.U. di Parma, Direttore scientifico Biogenap del CNR e Direttore Scientifico di Fondazione ANT –. Ciò significa che l’effetto antalgico non è adeguatamente modulato nel tempo, né sufficientemente adattato alle caratteristiche specifiche del paziente, come l’intervento cui è stato sottoposto, la sua massa corporea, il sesso o il metabolismo. Questi presidi non rispondono pienamente neanche ai moderni standard di sicurezza, perché non sono dotati di alcun sistema d’allarme, ad esempio per i casi di interruzione del flusso di medicinale. La sfida che dobbiamo affrontare è quindi anzitutto di natura culturale: tutti i professionisti della salute, dal chirurgo all’anestesista, senza tralasciare l’infermiere, devono convincersi che l’analgesia personalizzata, che contempli anche il coinvolgimento del paziente, non rappresenta un maggior dispendio di risorse e di energie, ma al contrario un efficientamento economico e un’ottimizzazione, in termini di appropriatezza terapeutica, della gestione del paziente post chirurgico”.
“Già nel 2004 – dichiara Fabio Rizzi, Presidente III Commissione permanente Sanità e Politiche Sociali di Regione Lombardia – la nostra Regione ha emanato un decreto che impegnava ogni ospedale a nominare un proprio ‘Comitato Ospedale-Territorio Senza Dolore’. In quel decreto, attraverso un Manuale Operativo messo a punto in collaborazione con gli specialisti di diversi poli ospedalieri regionali, erano esplicitati compiti e obiettivi degli ospedali nel contrasto di ogni tipo di sofferenza, incluso il dolore post operatorio. Nel campo della lotta al dolore, la Lombardia ha mostrato di essere una delle regioni più sensibili e solerti d’Italia: non solo siamo stati fra i primi a varare le delibere necessarie all’istituzione dei centri Hub per la terapia del dolore cronico, ma credo che fra gli ospedali lombardi si registri uno dei più elevati tassi di attivazione di servizi dedicati al trattamento del dolore acuto. I dati diffusi quest’oggi rafforzano il nostro convincimento che la cura del dolore post operatorio ha bisogno soprattutto di sinergia fra i diversi operatori sanitari e di un crescente coinvolgimento dei pazienti, obiettivi per i quali la Regione è già attiva nello stimolare una formazione continua promossa direttamente dai nostri poli ospedalieri e per i nostri professionisti”.
Ma al di là della Lombardia e di poche altre regioni virtuose, ancor più dei dati colpisce il raffronto fra quanto emerso dalla survey del 2006 e i risultati dell’indagine del 2012: non solo non si rilevano miglioramenti sostanziali – nonostante le nuove linee guida SIAARTI e la Legge 38, entrambe intervenute nel 2010 – ma si nota un calo notevole dell’offerta formativa dedicata al dolore post operatorio: nel 2006 il 57% degli specialisti che hanno risposto alla survey avevano partecipato ad almeno un evento ECM sul dolore post operatorio, mentre nel 2012 solo il 37% ha avuto modo di approfondire questi temi attraverso appuntamenti di Educazione Continua in Medicina. Proprio per questo – e in vista del lancio in Italia di un nuovo prodotto in grado di garantire sicurezza ed efficacia inedite nel trattamento del dolore post operatorio – Grünenthal Italia ha presentato in occasione della conferenza stampa di oggi a Milano la nuova iniziativa Change Pain Acute.“Sulla scia del successo della grande campagna Change Pain, dedicata al dolore cronico e nata cinque anni fa grazie alla collaborazione con EFIC, siamo orgogliosi, oggi, di lanciare questa nuova iniziativa di formazione e informazione su tutto il territorio nazionale – dichiara Thilo Stadler, Regional General Manager South Europe & Nordics di Grünenthal –. Con Change Pain Acute, Grünenthal Italia promuoverà la diffusione di conoscenze scientifiche rigorose, fra i professionisti della salute, sulla gestione ottimale del dolore post operatorio, e al contempo una maggior attenzione dei cittadini per il proprio diritto a non soffrire, anche a seguito di un intervento chirurgico”.
“L’attenzione alla qualità di vita e alla dignità della persona passa anche per l’attenzione al dolore che prova, e questo deve accadere in ogni fase della malattia e della cura, a tutte le età. Sembrerebbe scontato, ma non lo è. Il Tribunale per i diritti del malato di Cittadinanzattiva nel 2014 ha condotto un monitoraggio nell’ambito del programma IN-DOLORE, volto ad indagare, attraverso la raccolta di dati oggettivi negli Ospedali integrata da interviste ai degenti, l’attuazione di alcuni aspetti della L. 38/10 e il rispetto del diritto a non soffrire inutilmente. I dati dell’indagine, che ha coinvolto su adesione spontanea 46 Ospedali, 214 reparti e 711 persone ricoverate, mostrano che nel 31% delle chirurgie ortopediche non sono presenti protocolli operativi per la gestione del dolore postoperatorio. Nei reparti di chirurgia ortopedica si usano strumenti per la rilevazione e valutazione periodica del dolore, ma solo 2 strutture su 10 hanno provveduto a formare sulla gestione del dolore almeno il 90% del personale. Sul fronte dei farmaci, soltanto metà degli Ospedali ha realizzato una valutazione periodica sul consumo e sull’appropriatezza d’uso dei farmaci analgesici utilizzati. Il dolore viene registrato quasi sempre in cartella clinica e trattato tempestivamente con terapie farmacologiche, ma in un caso su due non ne viene rilevata l’intensità con strumenti ad hoc. Inoltre nel 31% delle Pediatrie monitorate degli Ospedali rispondenti non prevede, in caso di interventi chirurgici e/o in caso di esami invasivi, la presenza del genitore sia in sala preanestesia che in sala risveglio. Dalle interviste ai degenti, il quadro emerso è ancor peggiore: soltanto nel 59,5% dei casi almeno un genitore era presente al risveglio del bambino (dato importante per via della connessione tra psiche e percezione del dolore)”. Questi alcuni dei dati illustrati da Rosapaola Metastasio, Project Manager del Progetto di Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato. “Il dolore dopo un intervento chirurgico può e deve essere controllato e ridotto: accelera il ritorno alla vita ordinaria, migliora la qualità della degenza e in generale della vita. Governo e Regioni sono impegnati nell’umanizzazione delle cure e lo affermano nel Patto per la salute. L’attenzione al dolore dopo un intervento chirurgico, è evidente, ne è parte integrante. Per questo serve investire di più nella formazione dei professionisti, nel miglioramento dell’organizzazione dei servizi e nel monitoraggio costante da parte delle organizzazioni di cittadini”.
Durante la conferenza stampa, infatti, è stato ricordato che ogni anno in Italia sono costretti a ricorrere alla chirurgia circa 4 milioni di pazienti, e più dell’80% di loro riferisce di aver sofferto di dolore post operatorio. Un numero preoccupante soprattutto in considerazione di alcuni aspetti: anzitutto l’aumento dei tempi di degenza in presenza di dolore post operatorio d’intensità notevole; in secondo luogo la considerevole incidenza dei casi di evoluzione di questo tipo di sofferenza in dolore cronico – anche per interventi di modesta entità, basti pensare che in Italia il dolore post operatorio, proprio perché mal gestito, si cronicizza nell’80% degli interventi di ernia inguinale; e infine la capacità del dolore post operatorio di contrassegnare negativamente l’esperienza di cura, inducendo i pazienti a non seguire più la strada chirurgica per successive esigenze terapeutiche, anche quando sarebbe la più appropriata ed efficace.