In queste ultime settimane è rinfocolato il dibattito riguardo il vestiario che indossano le donne musulmane come simboli di fede religiosa.
Burqa,niqab, e da ultimo il burqini, costume da bagno per le seguaci di Allah che si recano in piscina, in spiaggia, in qualunque altro luogo di balneazione che permette di praticare il nuoto senza dover indossare i classici indumenti “occidentali” invisi ai precetti dei seguaci di Allah.
Un costume ideato e realizzato dalla stilista australiana di origine libanese Ahiida Zanetti, all’inizio degli anni 2000, un abito sportivo-natatorio che lascia scoperto solo le mani, i piedi e il volto (non i capelli, simbolo di seduzione, peccato capitale da cui traggono origine fornicazione e adulterio, azioni con cui il maligno conquista l’anima dell’uomo).
Il Burqini, unione dei termini burqa e bikini (sacro e profano mi viene da dire), è un marchio registrato (pecunia non olet anche in ambito religioso e il denaro non è considerato lo sterco del diavolo !) ha suscitato roventi polemiche durante questo ultimo scorcio di estate, perchè il Governo francese ne ha vietato l’uso in tutto il territorio nazionale perchè contravviene ai valori e alle norme di libertà sancite dalla costituzione transalpina, visto che è considerato un simbolo di sottomissione della donna.
Anche in Italia, ovviamente come era logico aspettarsi, non sono mancate le prese di posizione a favore o contro il provvedimento francese.
Libertà, pari diritti, emancipazione femminile, sottomissione, credo religioso, ambito privato o pubblico, poco importa, le “fazioni contendenti” non hanno arretrato di un centimetro rispetto “la linea del fronte”.
Della materia in questione si dovrebbe partire dal concetto di libero arbitrio che non deve mai travalicare le norme sancite dallo Stato, le leggi vigenti che concernono l’ordine pubblico e la sicurezza.
Ebbene il concetto di base su cui non riesco a trovare alcuna giustificazione delle tesi a favore di un certo abbigliamento islamico femminile rientra nell’articolo 85 del R.D. 733 del 1931 inerente alla sicurezza nei luoghi pubblici.
Esso sancisce che è vietato comparire mascherato in luogo pubblico, nei teatri, nei luoghi aperti al pubblico, eccetto il caso in cui l’autorità ne consenta l’uso in determinate situazioni e in un determinato periodo (Carnevale, ad esempio).
Una concetto ribadito nell’ articolo 2 della legge 533 del 1977 che vieta l’utilizzo di caschi e di qualunque altro oggetto che renda difficoltoso il riconoscimento della persona in un luogo aperto al pubblico o in luogo pubblico senza giustificato motivo.
In sostanza la querelle di questi anni inerente i vestiti indossati dalle donne musulmane sancisce un limite chiaro.
Il burqa e il niqab dovrebbero (uso il condizionale) essere indumenti vietati in pubblico o in luoghi aperti al pubblico perchè non è consentito il riconoscimento della persona (con il burqa non traspare nessun elemento del corpo umano, col niqab solo gli occhi).
Un divieto però, sottoposto a libera interpretazione da parte degli organi giudiziari chiamati più volte ad applicare la norma.
E sì, perchè le ultime due parole dell’articolo, quel “senza giustificato motivo” consente di far rientrare la fede religiosa come una ragione valida e intangibile per poter indossare anche il burqa e il niqab.
Insomma, a mio modesto parere, cavilli giuridici assurdi che mal si conciliano con uno Stato di diritto che vuole porre in primo piano la sicurezza e l’incolumità pubblica soprattutto consapevole del periodo storico che stiamo vivendo.
Ma al di là di questi formalismi facilmente superabili (sarebbe sufficiente una modifica chiara e netta dell’articolo in questione), si può comprendere a che livello sia la certezza e l’uguaglianza della legge quanto ho notato ieri pomeriggio all’interno dello stadio S.Siro di Milano.
Settore I anello blu, 45 minuti prima del fischio di inizio della partita di campionato Milan Torino, pochi e irriducibili tifosi assiepati sugli spalti in questa domenica di agosto, noto, con mio stupore, una donna, presumibilmente di fede islamica, che teneva per mano un bambino d età scolare (7/8 anni) che indossava un niqab color beige, quindi un abito coprente l’intero corpo dalla testa ai piedi che lasciava trasparire solo gli occhi, e alle sue spalle il marito/fratello/cugino, chissà, assorto completamente in una conversazione telefonica.
Tralascio il mio stupore, la mia indignazione, la mia incazzatura (si può usare un termine politicamente scorretto in questo frangente?), e, così, voglio porre alcune domande alle forze dell’ordine, alla magistratura, ai politici, ai cittadini-elettori, il popolo a cui appartiene la sovranità, come sancito dalla nostra Costituzione, come sia possibile che una persona completamente travisata, con i lineamenti e i connotati completamente nascosti, possa entrare in uno stadio di calcio dove sono presenti migliaia di persone, e, dove soprattutto, vengono applicate norme restrittive da Stato totalitario e dittatoriale in evidente contrasto con le libertà personali, proprio per ragioni di ordine pubblico e di sicurezza ?
Vi chiedo: la signora avrà tolto il velo che le nascondeva il volto (ne dubito) all’ingresso dei tornelli dove viene effettuato il controllo/prefiltraggio, e allora nulla quaestio, oppure gli zelanti addetti che accertano che il tagliando di ingresso corrisponda alla persona che detiene manualmente il titolo di accesso confrontandolo con un documento di identità valido, per non turbare il suo credo religioso hanno applicato una sorta di lascia-passare ?
Sembrerebbe una banalità, ma non lo è affatto, perchè noi tifosi di “vecchia data” siamo soggetti ai ogni genere di controllo, perquisizione corporale minuziosissima, arrivando anche costringerci a togliere le calzature (vedasi stadio di Genova e J-Stadium di Torino) anche in pieno inverno e con la pioggia, o a levarci qualsiasi tipo di copricapo e sciarpa legata al collo per consentire agli uomini della polizia scientifica di filmare e fotografare i nostri volti da “galeotti”; noi tifosi che siamo considerati le mele marce del nostro Paese, il male assoluto da annientare, da annichilire.
A testimonianza di questa considerazione è sufficiente leggere il cosiddetto “regolamento d’uso” di un qualsiasi stadio italiano per comprendere quali e quante restrizioni siano contemplate, per capire che recarsi a vedere una partita è simile alle procedure previste per accedere in un carcere di massima sicurezza dove viene applicato il regime carcerario dell’art. 41/bis.
Delle due l’una, o le cronache di questi ultimi mesi ci raccontano di continui allarmi di attentati che hanno come bersaglio i luoghi dove si raduno migliaia di cittadini occidentali sono il frutto solo di un “terrorismo mediatico” o di un “disegno stragista” ormai accettato, oppure lasciar passeggiare liberamente una persona completamente travisata all’interno di uno stadio italiano è frutto di una cervellotica e inconcepibile motivazione che va oltre il normale buon senso.
Tanto più che lo stadio, come altri luoghi aperti al pubblico che non fanno parte di quei luoghi in cui vengono forniti servizi vitali e fondamentali come scuole, ospedali e ambulatori non si vede la ragione per cui si debba concedere questa “libertà” perchè altrimenti si “compirebbe” un atto discriminatorio.
Ma è un atto discriminatorio nei confronti di tutti gli altri avventori, poichè sono stabilite regole previste a cui si debbono attenere tutti coloro che si recano a vedere una manifestazione sportiva o musicale in un impianto preposto.
Chiedo ai buonisti, ai tolleranti a prescindere, alle femministe (sì alle femministe di cui non odo da anni le loro urla a difesa della condizione delle donne, della sottomissione, delle violenze subite, e voglio sottolineare di tutte le donne anche di chi indossa il niqab o il burqa), agli intellettuali liberisti e libertari che giustificazioni potrebbero dare per quanto ho veduto ieri all’interno dello stadio S.Siro di Milano ?
Cosa mi potranno giudicare, per questa mia presa di posizione ?
Io, che lor signori considereranno un becero tifoso obnubilato dalla passione per i colori, per la maglia, che li difende strenuamente perchè orgoglio della mia città, della mia storia, del mio blasone, che chiede a squarcia gola (come gli inni che canta anche oltre il 90°) che la legge sia uguale per tutti come è vergato sopra ogni scranno di ogni aula di un qualsiasi tribunale italiano dove viene fatta rispettare la legge del popolo italiano a cui appartiene la sovranità e che venga difesa l’incolumità di qualunque cittadino.
Massimo”old-football”Puricelli
Castellanza(VA)
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