Più forte Maradona o Pelè, questa la domanda che gli appassionati di calcio hanno ascoltato per molti anni.
Un dicotomia che ci accompagnerà per sempre, perchè Maradona e Pelè rappresentano le idolatrie totemiche del football.
Con la dipartita del campione argentino, la sua mitizzazione diventa leggenda, come era logico aspettarsi.
Della vita e della carriera di Diego Maradona sono stati scritti innumerevoli libri, pagine e pagine di giornali, prodotti chilometri di pellicola cinematografica e di servizi giornalistici.
Genio e sregolatezza, così è stato definito il numero 10 argentino.
Il re di Napoli (come recita un famoso striscione della curva napoletana), di più.
Diego Maradona era l’emblema della rivalsa della città partenopea dopo gli anni difficili del colera, e del terremoto; la speranza di un riscatto sociale e storico; ecco cosa rappresentò per il popolo che lo adorava.
Maradona era Napoli e Napoli era Maradona, pardon, Maradona è Napoli e Napoli è Maradona, e lo saranno sempre.
Un rapporto simbiotico, indissolubile, concreto, vivo, evidente, immortale.
Un simbolo, un emblema per Napoli e per il calcio.
Il calcio, il vero calcio.
Un calcio reale, tangibile, la simbiosi tra pubblico e calciatori; il prodotto della passione generazionale; una totale antitesi con il nuovo entertainment sotto specie virtuale, etereo, esclusivo, distante, ologrammattico.
E i protagonisti del calcio che fu, Maradona in primis, erano una componente di quella meravigliosa epopea che è stato il football del XX secolo.
Per chi ha vissuto quell’epoca, di qualunque fede calcistica appartenesse, è conscio di cosa fosse la ritualità domenicale e la sua rappresentazione degli attori protagonisti.
Un cast formato dai 22 atleti in campo e dalle migliaia di spettatori assiepati sugli spalti.
Una recitazione che superava le balaustre e i fossati delimitanti il rettangolo di gioco.
Idoli che non si sottraevano ai loro fedeli sostenitori prima, durante e dopo la rappresentazione sul campo.
E così fece anche Diego con il suo popolo, con i suoi adoranti devoti.
Ma non solo.
Era una simbiosi naturale, logica, verrebbe da dire.
Emblematico fu il gesto del fuoriclasse argentino in uno stadio, quello di San Siro, non amico, che non lo ha mai amato; certamente temuto perchè il capitano della squadra da battere e per il suo atteggiamento spavaldo, intrepido, quasi sfacciato, per le sue dichiarazioni sempre di sfida.
Prima e dopo i match della squadra rossonera erano soliti “esibirsi” due ragazzini che abusivamente si introducevano sul rettangolo di gioco calciando in porta il loro pallone spelacchiato, emulando i loro beniamini e raccogliendo gli applausi del pubblico divertito.
Ci fu lo stesso intrattenimento pre e post gara anche prima di un Milan Napoli di oltre 30 anni fa, ma con un siparietto finale inatteso.
Uno dei due ragazzini si avvicina a Maradona e, probabilmente, chiede un suo cimelio con veemenza.
Il campione argentino, prima finge di arrabbiarsi e poi solleva il fanciullo ponendolo in braccio accarezzandogli i capelli, mentre si indirizza verso la scalinata degli spogliatoi contornato dal boato del pubblico presente.
Ecco cosa era Maradona, re di quel calcio.
Ecco cosa era il CALCIO.
Adesso provate a fare un confronto con il calcio moderno e come viene rappresentato, ogni giorno, dentro e fuori dal campo di gioco.
E per le nuove generazioni che hanno visto quelle gesta solo nei filmati d’epoca e non hanno vissuto il CALCIO, è consono parafrasare la scritta vergata sul muro perimetrale del cimitero di Fuorigrotta durante i festeggiamenti del primo storico scudetto datato 10 maggio 1987: ” Che vi siete persi…”.
Massimo Puricelli
Castellanza(VA)
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