Il mondo del calcio è il lutto. L’ex campione dell’Ajax, Barcellona e della nazionale olandese, è deceduto a Barcellona dopo una lunga malattia all’età di 68 anni, gli era stato diagnosticato un cancro ai polmoni lo scorso ottobre.
Se ne andata una leggenda del calcio, fu il simbolo del calcio totale e della grande scuola olandese, rivoluzionando la storia del calcio tra la seconda metà degli Anni Sessanta e la prima degli Anni Settanta. Vinse tutto con i lancieri e il Barcellona sia in campo che in panchina.
Johan Cruyff, il “profeta del gol”, come era chiamato negli anni d’oro della sua carriera, è considerato uno dei giocatori più forti che abbiano calcato i campi di gioco. Una vita totale come il calcio, era l’inizio degli Anni Settanta, faceva tutto meglio di chiunque altro nella storia e nella geografia dello sport più amato al mondo.
Forse ci sono stati campioni più grandi di Cruyff come classe pura: Di Stefano, Pelé, Maradona, Messi, ma l’olandese li ha superati proprio per la sua visione totale e assoluta del calcio, da lui partivano le azioni, lui le conduceva insieme ai compagni meravigliosi, sempre lui andava a concluderle come il più grande degli attaccanti anche se attaccante non era. Perché Cruyff era tutto, non a caso, sulla maglia portava il 14 un’epoca in cui ogni ruolo aveva un numero preciso e quei 14 invece significava l’assoluta e rivoluzionaria diversità di un marziano mai apparso prima.
E’ stato anche dirigente sportivo icona per una generazione di calciatori e tifosi. Era nato in strada, Cruyff. Aveva imparato a giocare sull’asfalto saltando gli avversari come birilli. E, quando Michel Platini gli chiedeva come diavolo facesse a non cadere mai, saltando e volteggiando per anticipare le entrate dei difensori, lui rispondeva: “Sono nato in strada e quando giochi sull’asfalto devi evitare di cadere, sennò ti fai male…”.
Sulla grandezza del fuoriclasse è stato detto tutto, ma forse la definizione più bella l’ha data Pep Guardiola: “L’uomo che cambiò la mentalità del Barcellona. Cruyff ha dipinto la cappella Sistina, Rjikaard, Van Gaal ed io abbiamo solo aggiunto qualche pennellata”.
“Il Pelé Bianco” matura in un’epoca di grandi cambiamenti, non solo sociali, ma soprattutto calcistici, accompagnati dal vento di ribellione del 1968. Dal 1966 al 1973 con l’Ajax vince tutto, incluse tre Coppe dei Campioni e una Coppa Intercontinentale, tre Palloni d’oro, nove scudetti in Olanda e uno in Spagna. E’ stato Pallone d’oro nel 1971, 1973 e 1974. In nazionale il clou nel’ 74: secondo ai mondiali. Nel ’78 non andò in Argentina per scelta.
Poi segue a Barcellona il suo mentore Rinus Michels e, con lui, esporta i semi del calcio totale in Catalunya. Negli Anni Ottanta alla guida del Barcellona rivoluziona la squadra e vince tutto: nel 1991 – 92 arriva la prima Coppa Campioni del Barcellona. Con lui anche quattro scudetti, due Coppa Coppe, una Coppa di Spagna e una Supercoppa Uefa. Sempre nel 1991 subisce un delicato intervento al cuore per il doppio by-pass, Cruyff diventa testimonial di una campagna mondiale contro il fumo: nell’ottobre del 2015 l’annuncio della nuova malattia, un tumore polmonare che purtroppo non gli ha dato scampo.
Johan Cruyff: “ Giocare a calcio è semplice, ma giocare un calcio semplice è la cosa più difficile che ci sia. La palla è una sola ed è necessario che tu l’abbia tra i piedi. Il mio Barcellona sapeva gestire il pallone, occupare gli spazi, e anche il portiere doveva giocare coi piedi”.
Finisce così la storia del numero 14 più famoso del mondo, dai gol con la maglia di Ajax e Barcellona, per un calciatore fuori da ogni schema. Cruyff lascia una fondazione che ha aperto nel mondo oltre 200 campetti riservati ai ragazzi. Uno a Como, dedicato a Borgonovo. La Fondazione Cruyff ha fissato 14 regole.
La prima: “Gioco di squadra. Per fare le cose, dovete farle insieme”. La 14esima, l’ultima: “Creatività.
E’ la bellezza dello sport”.
Giuseppe Lippoli