“Nel bene o nel male, purché se ne parli”.
Così recita una famosa frase del libro di Orwell, Il ritratto di Dorian Gray, che esplica bene l’importanza della divulgazione per avere successo.
Purtroppo, in Italia, la propagazione dell’immane orrore delle organizzazioni criminali risale a oltre un secolo.
Una diffusione basata su un enorme potere economico e sociale costituito da intimidazioni, minacce, omicidi, ed ogni altro efferato crimine che ha attentato non solo la vita dei cittadini, ma anche il cuore dello Stato.
Decine di rappresentanti delle istituzioni che lottarono contro questo potere endemico, trucidati barbaramente dalle organizzazioni mafiose nel corso di decenni.
Un potere che si espanso e che si cementificato, generando terrore e paura nella società e nei cittadini che hanno incappati nelle grinfie di questi criminali.
Un sentimento di terrore alimentato dall’immagine truce, che solo l’evocazione del nome “mafia” genera, andando a sconfinare nella più profonda omertà.
Una lotta, quella contro le mafie che ha visto il suo apice alla fine degli anni 80 ed inizio anni 90 con le stragi di Capaci (dove morì il Procuratore antimafia G.Falcone, la moglie Morvillo e gli uomini della scorta) e di via D’Amelio (dove perse la vita il giudice Borsellino e gli uomini della sua scorta).
Eventi che misero in pericolo la stessa tenuta democratica del Paese.
Quelle stragi suscitarono una presa di coscienza da parte del popolo che portarono ad una decisa e forte risposta da parte dello Stato che portò all’arresto del capo mafia Riina.
Si verificò una radicale mutazione della considerazione del fenomeno che fino ad allora veniva negata persino l’esistenza.
Fu fondamentale “il battage” mediatico che sottolineò la gravità della situazione e la necessità di un fronte comune nella lotta atta a distruggere le basi fondanti.
La scorsa settimana è morto all’età di 87 il boss Salvatore Riina, detenuto in regime carcerario ex art. 41/bis (carcerazione speciale per i detenuti condannati per reati di mafia) dal 1993 anno del suo arresto.
Una notizia da “prima pagina” .
Una notizia che ha avuto una risonanza mediatica come era logico aspettarsi.
Inviati all’ ospedale di Parma dove era ricoverato per l’aggravamento della malattia; servizi televisivi e pagine di giornali che ripercorrevano la “carriera” criminale del boss.
Un clamore mediatico decisamente sovrabbondante che rischia di generare una effetto amplificativo della mafia.
Un effetto pubblicitario nell’ambiente malavitoso e omertoso dove la mafia arruola i suoi seguaci.
Un fascino noir, un appeal basato proprio su quegli elementi economici, delittuosi, che ancora oggi riescono a conquistare gli animi perversi di molte persone.
La guerra alle mafie non è vinta, visto che molti territori della Penisola, da Sud a Nord e parecchi settori economici sono permeati dal fenomeno.
Proprio per questa ragione, uno Stato forte, una nazione autorevole avrebbe declassato la notizia della morte di Riina nelle pagine interne con articoli poco più che necrologi di poche righe già il giorno successivo.
Così si dimostra la vera forza di uno Stato che ha il possesso e il controllo del suo territorio, che ha la certezza dell’ applicazione e dell’efficacia dell’ apparato normativo civile e penale.
Mi fermo qua, perchè ho paura di cadere nel mediaticità dell’evento.
L’oblio deve prevalere inevitabilmente e decisamente.
Massimo Puricelli
Castellanza(VA)
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