E’ venuto a mancare, nella giornata di martedì 22 aprile, Giovanni, Giussy, Farina. Un uomo di Calcio, si può definirlo, Giussy Farina; soprattutto del Vero Calcio, scomparso 10/15 anni fa, soppiantato dal nuovo entertainment pallonaro.
Veneto di nascita (nato in provincia di Vicenza, a Gambellara), imprenditore agricolo (manifestò sempre con orgoglio le sue origine contadine, le sue aziende agricole sparse nel Nord Est italico e i possedimenti in Sud Africa) amante del calcio, il suo nome è legato principalmente a due squadre, il Lanerossi Vicenza di cui fu presidente dal 1968 al 1981, e poi presidente dell’ AC Milan 1899, dal 1982 al 1986. Un ‘imprenditore smaliziato, lo si potrebbe definire; legato a molte nobildonne da cui ebbe 6 figli e molti possedimenti immobiliari; invischiato in beghe giudiziarie si ritirò per molti anni in Sud Africa, sua seconda “patria”.
Amava il football; era il classico “padre-presidente” che valorizzava i giovani talenti per poi rivenderli alle grandi squadre. Portò il LR Vicenza ad un leggendario secondo posto nella stagione 1977/78 che gli diedero la possibilità di giocare in coppa Uefa l’anno successivo.
Tra le sue fila il talento Paolo Rossi. Il suo pupillo. Un ammirazione che gli costò cara. Già, la sua capacità e scaltrezza nel calcio mercato dimostrata negli anni si interruppe con Paolo Rossi.
Leggendaria la “battaglia” per la comproprietà del centravanti, con la Juventus di G.Agnelli. Non raggiungendo un accordo con la corazzata bianconera , dominatrice dei campionati degli anni 70 e anche del calcio mercato (controllava ogni potenziale campione che militava nelle squadre minori) si arrivò alle famose “buste”, ovvero l’indicazione del prezzo di acquisto della metà del cartellino in possesso della controparte che veniva aggiudicata a chi indicava il prezzo più alto. Giussy indicò una cifra stratosferica (2 miliardi e 600 milioni di vecchie Lire) ben più alta di quello che scrisse il plenipotenziario bianconero Boniperti (850 milioni).
Pur di tenersi Paolo Rossi a quelle cifre indebitò in maniera irreversibile le casse della società. Dopo la retrocessione del club veneto nel 1979, diede in prestito il giocatore al Perugia , ma si vociferava che il giocatore era ormai di proprietà della Juventus che lo pagò “in nero” un miliardo di Lire.
Con il “buco” creato a Vicenza si allontanò dal calcio per qualche mese per poi, con un “coup de theatre” diventare proprietario e presidente del Milan nella primavera del 1982.
Dopo lo scandalo scommesse, e la condanna alla retrocessione in B nella stagione 1980/81, il ritorno in serie A l’annata successiva , la società rossonera era guidata da Gaetano Morazzoni dopo la radiazione del presidente Felice Colombo (si presumeva che Morazzoni fosse soltanto il prestanome di Colombo), ma la situazione economica e sportiva era alquanto precaria.
Un aspetto, il principale aspetto, caratterizzò la presidenza di Farina: il rispetto per la storia, il blasone, i tifosi della squadra rossonera. Comprese e rispettò quel senso di appartenenza, quell’orgoglio per quei colori, per le vittorie leggendarie, per i campioni che indossarono la maglia nel corso dei svariati decenni precedenti; quel popolo appassionato che possedeva un ‘ideologia, meglio definirlo, un ideale; di più, una fede, una fede calcistica incrollabile anche nelle peggiori sventure. L’amore infinito dei “cascavit” per il loro Milan. Squadra di stampo popolare in antitesi con i “bauscia” nerazzurri della seconda squadra di Milano, la squadra della borghesia.
Lui, Farina, veneto della campagna che amava il mondo agreste si compenetrò in quella realtà. E quindi facile leggere quelle pagine di storia calcistica. Appena acquistata la società se ne andò in curva a seguire un Milan-Avellino tra i ragazzi della Fossa e delle Brigate, mentre la squadra era in lotta per non retrocedere.
Raccontò che ebbe un po’ di paura in quella bolgia, quando il “folletto” brasiliano Juary , ala dell’Avellino, portò in vantaggio i lupi irpini; timore trasformato in gioia e divertimento allorché i suoi ragazzi rossoneri riuscirono a ribaltare il punteggio vincendo la gara per 2-1. Non fu sufficiente quella vittoria, così come altre vittorie, come nell’ultimo turno di campionato in quel di Cesena (altra epica rimonta) per il nefasto pareggio tra Napoli e Genoa scaturito in circostante alquanto deprecabili (una presunta combine).
La seconda serie B fu caratterizzata della ferma volontà di promozione immediata. Farina non cedette i migliori giovani, eccenzion fatta per Collovati che si accasò agli odiati cugini per la sua volontà di non dover ancora disputare un altro anno in cadetteria, lui che era titolare della Nazionale e fresco campione del mondo, il leggendario Mundial di Spagna 82. Un sgarbo che i tifosi rossoneri non gli perdonarono mai (la Dea Eupalla, tuttavia, fece giustizia negli anni successivi con l’apice della “condanna inflitta” proprio in un derby, anzi il “Derby” del 1984 con Hateley che sovrasta il reprobo segnando il gol della vittoria).
Anni dopo Farina confessò che vendette Collovati per fare cassa e spinto a quella decisione anche dalla volontà del giocatore di abbandonare il Milan, dopo essere stato colpito da un sasso lanciato dai tifosi rossoneri durante la contestazione a Como l’anno della seconda retrocessione. Nessuno fu ceduta nessuna altra “promessa”.
E poi la “campagna acquisti” operata dal presidente. In cambio di Collovati, arrivarono in prestito dall’Inter Pasinato, Canuti e Serena , quest’ultimo un promettente attaccante d’area; Vinicio Verza il fantasista. A fare da “chioccia” a questi ragazzi fu preso Oscar “Flipper ” Damiani ala guizzante con trascorsi alla Juve e al Genoa. Allenatore Ilario Castagner. Castagner, qualche anno prima, alla guida dell Perugia del presidente D’Attoma, contese lo scudetto al sodalizio rossonero nella stagione 1978/79 che portò alla conquista della agognata Stella (il decimo titolo). Seppur in B, S.Siro era quasi sempre gremito. In 50 mila anche in quella “storica sconfitta” casalinga contro la Cavese (oggi, molti giovani appassionati del nuovo entertainment pallonaro tutto business e marketing, devono consultare un motore di ricerca di internet, per conoscere quale sia la città della Cavese), considerata storica e umiliante per i cugini nerazzurri, ma per il vero “casciavit” fu un orgoglio della passione, della fede, della presenza a sostegno della sua squadra. Un ritorno in A sulle ali dell’entusiasmo sempre crescente culminato con la sfortunata sconfitta ai quarti di finale di coppa Italia contro la fortissima Hellas Verona (vincitrice due anni dopo di uno storico e unico scudetto). Tutti, giocatori, staff tecnico, dirigenza e gli artisti meneghini capeggiati da Enzo Jannacci e Diego Abatantuono, sostennero quella risalita dall’inferno della serie B che portò il Diavolo (un Piccolo Diavolo, come lo stemma ufficiale di quegli anni che rappresentava in modo stilizzato il corpo, la testa e la coda del simbolo rossonero) nuovamente in “paradiso”. Del resto, come ci ricordava il refrain della colonna sonora di un trasmissione di intrattenimento di Antenna 3, emittente locale della provincia di Milano in quel di Legnano al confine con Castellanza, cantata dal duo comico Teocoli, Boldi (proveniente anche loro dalla fucina del cabaret, il Derby di Milano con Jannacci e soci), “… e la morale è sempre questa qua, che il Milan deve ritornare in A; e corre, corre, corre, corre e va…”.
Nel campionato seguente il trio in prestito dall’Inter ritornò alla casa madre. Farina disse che non trovò l’accordo con l’Inter (probabilmente non aveva i soldi per il riscatto), e così arrivarono il belga Gerets, Spinosi, Carotti e l’attaccante anglo giamaicano Luther Blisset dal Wattford di proprietà del cantante Elton John che lo lasciò partire dopo un eccellente campionato in serie B in Inghilterra (vinse la classifica dei cannonieri) non ad una modica cifra. Quest’ultimo si rivelò un flop totale , gol clamorosi sbagliati (epico fu il gol mancato nel derby di andata a porta vuota, con Castagner disperato che non credeva ai suoi occhi) per un totale di sole 5 reti. Un campionato scevro di soddisfazione e costellato da molte sconfitte (tra cui il derby di andata, perso 2-0, con un gol proprio del “traditore” Collovati), dalla cacciata di Castagner, reo di essersi accordato in anticipo con l’Inter per sedersi sulla loro panchina la stagione successiva (cosa che avvenne). E poi la rescissione del contratto con Gerets perchè implicato in uno scandalo scommesse in Belgio e visto i trascorsi storici rossoneri in quella “materia” non voleva avere giocatori in rosa con quel genere di accuse.
Una stagione che fece un po’ penare e intimorire i tifosi che si sentirono tranquilli della salvezza, solamente dopo la vittoriosa trasferta a Torino, contro il Toro, a fine aprile. L’apice di Farina Presidente del Milan lo toccò la stagione 1984/85. Campagna acquisti di “lusso” (lusso per le casse rossonere dell’epoca) con l’arrivo del duo inglese Wilkins e Hateley. L’acquisto del centravanti Pietro Paolo Virdis (un artista del Calcio, un eccelso giocatore di gran classe proveniente dall’Udinese) che poi si rivelerà un attaccante prolifico (vincerà la classifica cannonieri nella stagione 1986/87 e poi continuerà la sua avventura in rossonero anche con la presidenza Berlusconi, vincendo da protagonista il campionato 1988 e la coppa campioni del 1989). Arrivò anche il capitano della Roma scudettata e finalista di coppa campioni, Agostino Di Bartolomei. Anche un nuovo portiere, Giuliano Terraneo dal Torino.
Ad allenare il Milan , Farina chiamò il Barone Liedholm ( il mitico Barone che conquistò la Stella, 5 anni prima). Un’ annata ricca di soddisfazioni, come la vittoria contro la Roma, e soprattutto il derby della rivincita, del “volo della fenice” rappresentato dal gol di Hateley di testa subissando Collovati ; e poi la vittoria casalinga contro la Juve, Debuttò a Udine un “certo” Paolo Maldini allora 16 enne (l’inizio di una leggenda o meglio il continuo della leggenda della dinastia Maldini, iniziata con il padre Cesare vincitore da capitano della prima coppa campioni a Wembley nel 1963). E la finale di coppa Italia (eliminando in semifinale propri i cugini) persa contro la Sampdoria del magnate Mantovani (altro emblema del Calcio dei mecenati e della passione popolare, in una parola il CALCIO VERO esistito per oltre un secolo) e dei gemelli enfants prodiges, Luca Vialli & Bobby gol, una “bestia nera per il Milan di quegli anni, e la conquista di un “posto UEFA”. Un traguardo importante e difficile da raggiungere visto che in quei campionati a 16 squadre, per partecipare alla coppa UEFA era necessario arrivare dal secondo al quinto posto (il Milan giunse quinto, oggi parteciperebbe alla Champions League…). Sembrava un idillio quello di Farina con il Milan, ma l’anno successivo la campagna acquisti fu misera.
Arrivò il pupillo del presidente, Paolo Rossi, tormentato dai problemi alle ginocchia. Fu pagato oltre 6 miliardi di lire alla Juventus. Giocò pochissimo e segnò solo due gol, due gol “pesanti” nel derby di andata finito 2-2. Oltre a Pablito, arrivarono giocatori quasi sconosciuti come Macina, Mancuso e Bortolazzi. Le casse rossonere erano esangui. I tifosi iniziarono a preoccuparsi. E avevano ragione di preoccuparsi.
Nel corso dei mesi successivi, si scoprirono i buchi in bilancio che la gestione dell’imprenditore veneto aveva creato e ripianati in parte dalla generosità del vice presidente Gianni Nardi (sempre sia lodato). Il fallimento era dietro l’angolo. I tifosi sconvolti dalle notizie che la stampa diffondeva erano drammatiche. La contestazione del popolo rossonero fu enorme e fragorosa. Si chiedeva a Farina di andarsene e vendere a Berlusconi. Nel febbraio del 1986, lungo il rettilineo dei popolari venne apposto uno striscione con la scritta: Farina=Rovina. Volantini distribuiti allo stadio recitavano il motto: Farina fuori dai c…i , vogliamo Berlusconi! Io, che seguii il Milan, come migliaia di altri tifosi, anche nelle due annate di B, e che il Milan per noi era una “ragione di vita”, consideravamo Farina come il male assoluto.
Un sostantivo aggettivato, ormai storico, sintetizza quell’unione di intenti, di storia, di progetti, di traguardi: il Milanismo. Certo, la società presieduta da Farina aveva pochi liquidi, ma non era una società che potremmo definirla sociologicamente, “liquida” (parafrasando le teorie del sociologo Bauman). Nella odierna era calcistica, i rapporti sono instabili, precari, privi di punti di riferimento, dove tutto è cangevole senza certezze, dove la sinergia società, squadra tifosi non esiste perchè tutto muta alla velocità di un click digitale, imposto dal mercimonio dilagante, dove tutto è mercificato, anche e soprattutto la passione.
Massimo Puricelli
Castellanza (VA)