La maggior parte dell’ opinione pubblica italiana conosce il significato della parola vivisezione.
Probabilmente solo un parte è realmente conscia di cosa sia effettivamente la vivisezione, di cosa accadde giornalmente nei laboratori di ricerca.
Le immagini che possiamo trovare in internet e quelle che talvolta vengono trasmesse sui mezzi di comunicazione di massa, forniscono una esauriente visione della realtà che vivono (vivere è un verbo poco adatto per quel tipo di esistenza) centinaia di migliaia di animali, dai topi, ai primati, passando dai cani a i gatti.
Rinchiusi in fredde e piccole gabbie, per la maggior parte del tempo al buoi, gli animali subiscono una sequela di esperimenti, anche senza anestesia, che provocano sofferenze profonde, inabilità, e per la maggior parte di loro, dopo una lunga agonia, la morte.
Molto si è dibattuto in questi decenni riguardo la vivisezione e gli esperimenti sugli animali.
La ricerca “tradizionale” ha sempre sostenuto la tesi della necessità di tali esperimenti per la scoperta di farmaci e nuove cure per combattere le malattie che colpiscono il genere umano.
Ma non solo la ricerca medica ha utilizzato gli animali come cavie, perchè molte di quelle “torture” erano indirizzate (lo sono tuttora seppur in numero minore dopo una serie di provvedimenti a livello europeo e nazionale che ne vietano l’utilizzo) anche per la cosmesi, i prodotti per la pulizia, il tabacco.
Da anni molti scienziati e ricercatori, “obbiettori di coscienza” hanno sviluppato una ricerca cruelty-free senza l’utilizzo di animali, ritenuta da più parti molto più affidabile di quella cosiddetta tradizionale.
Una teoria che si basa su dati concreti, visto che i risultati scaturiti dalla vivisezione sono spessissimo contradditori, fallaci, inaffidabili, tanto più che quei test prevedono, comunque, ricerche, prove e verifiche sull’uomo visto l’ abissale diversità genetica e fisiologica tra uomini e animali.
La triste e crudele realtà, spesso celata, della vivisezione balzò agli onori della cronaca con la vicenda dell’allevamento Green Hill di Montichiari (BS), dove migliaia di cani di razza beagle venivano venduti ai laboratori vivisezionistici della Germania. Posto sotto sequestro dalla Magistratura nel 2012 a seguito della “liberazione” di alcuni cani da parte di attivisti che vollero “strappare” il velo dietro cui si celava quella triste realtà. Gli attivisti furono indagati ma la magistratura diede il via all’indagine contro l’azienda bresciana per le condizioni in cui venivano tenuti gli animali ipotizzando i reati di maltrattamento e uccisione immotivata.
Un’indagine che portò prima al sequestro dell’azienda e all’affido cautelare degli animali alle associazioni animaliste, arrivando alla condanna anche in appello (23 febbraio 2016) dell’azienda.
Una vicenda che ha dato il via anche, e soprattutto, al recepimento della direttiva europea 63/2010 con il decreto legislativo 26/2014 che vieta l’allevamento di cani, gatti e primati “da laboratorio” e la chiusura definitiva di Green Hill.
Quella sentenza e quella normativa non hanno abolito la vivisezione, ma hanno reso i cittadini consapevoli e consci di quali sofferenze soffrano migliaia di esseri senzienti; perchè gli animali, per chi ancora non lo sa o fa finta di non saperlo, sono del tutto simili a noi umani con sentimenti ed emozioni paritetici.
Purtroppo ancora oggi sono rinchiusi nei laboratori italiani ben 700 mila animali, di cui 450 primati e 500 cani oltre ad un numero imprecisato di gatti (dati, purtroppo, in ascesa) provenienti da allevamenti extra-Europa dove i controlli sono alquanto lacunosi, per non dire assenti.
Crudeltà, sofferenza, dolore, paura, questo è quello che si percepisce in quei laboratori, quello che i filmati e le fotografie ci trasmettono.
Ma per comprendere ancora più profondamente cosa sia la vivisezione, consiglio di leggere l’articolo riportato dal periodico Impronte, rivista della LAV (Lega antivivisezione www.lav.it) riguardo i 16 macachi dello stabulario dell’università di Modena finalmente liberi trasferiti in un centro di riabilitazione e recupero di animali selvatici ed esotici in provincia di Grosseto.
I primati liberati sono nati in cattività e hanno trascorso la loro esistenza in una situazione alienante e innaturale che gli aveva privati anche delle più elementari funzioni vitali.
Terrorizzati anche dagli spazi liberi che hanno trovato nel centro di recupero, dal cibo “naturale e idoneo” che gli viene somministrato (nei laboratori venivano nutriti con del pellet-un compressato di cibo standardizzato inodore duro), dalla possibilità di esprimersi con azioni cognitive e motorie a loro sconosciute. Stereotipie e movimenti ripetitivi denotavano la loro carcerazione. Privi di muscolatura e con un manto opaco e spelacchiato non possedevano nulla di caratteristico dei loro simili che vivono liberamente nella giungla.
Erano ridotti a semplici “oggetti” simili a qualunque altro strumento da laboratorio.
Questo resoconto è la migliore rappresentazione di cosa sia la vivisezione.
Una totale privazione di libertà; una crudele distruzione delle primarie e basilari funzioni fisiologiche di esseri senzienti; una carcerazione a vita con condanna a morte, di creature incolpevoli che non posseggono la parola per esprimere la loro sofferenza.
Quella sofferenza, quell’ingiustizia immolata sull’altare di una scienza fallace e inaffidabile, dobbiamo denunciarla noi esseri umani; dobbiamo noi dar voce a chi non c’è l’ha; dobbiamo essere noi ad aprire quelle gabbie e ricondurre la scienza entro canoni etici e affidabili per il bene e la salute di tutto l’ecosistema del quale fa parte anche l’ homo sapiens.
Massimo Puricelli
Castellanza(VA)
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