Osservando quotidianamente quanto accade in Italia a livello sociale mi convinco sempre più che sia in atto una sorta di anestetizzazione generale delle menti delle persone.
Sembra trascorso un secolo, rispetto quanto accadeva solamente un paio di decenni fa.
La generazione di coloro che sono nati durante la seconda guerra mondiale (anche poco prima, o poco dopo), la generazione che ha ricostruito il Paese dalle macerie, e che ha lottato per la democrazia, i diritti fondamentali dell’uomo, il welfare, per assicurare un futuro certo e sicuro ai propri figli, non avrebbe accettato nemmeno per una settimana una “vita” precaria, vuota, senza alcuna prospettiva che coinvolge milioni di persone e di famiglie italiane (ed europee) in questi anni.
Vedo così lontani, così distanti i pensieri, le idee, le “certezze” che accomunavano i nostri genitori, i nostri nonni.
Penso a mio padre, così come ai genitori dei miei coetanei quando eravamo bambini o adolescenti, che “possedevano” così tante certezze nella vita che nessun pensiero inerente al lavoro, alla famiglia, al futuro intaccava le loro menti.
Era impensabile rimanere disoccupati, e tanto meno considerare il lavoro come qualcosa di aleatorio, di precario, di effimero. Nessuna professione dipendente o autonoma era avvolta dalla angosciante aura della precarietà, del pericolo di non avere un reddito sicuro, di non avere un introito certo a fine mese per sbarcare il lunario, per “mantenere” le proprie famiglie.
Nessuno viveva angosciato, nessuno, tanto meno chi dedicò la sua giovinezza sui banchi di scuola per ottenere un diploma o una laurea, ma anche per chi “non portato agli studi” conseguiva un attestato di specializzazione che gli permetteva di ricoprire mansioni lavorative ricercate all’interno di diverse realtà industriali manifatturiere.
Soprattutto, era sufficiente avere dentro di sè quella “buona volontà” di lavorare che permetteva di assicurarsi un futuro ricco di progetti, ambizioni, sicurezze che permettevano di non veder mai intaccata o svilita la dignità personale, elemento fondamentale dell’esistenza umana.
Anche in quegli anni si attraversavano periodi di crisi, anche profonde, dure, ma non ricordo lavoratori che rimanevano in stato di disoccupazione per mesi o anni.
No, nulla di quanto accade oggi; nulla di paragonabile.
Se un’azienda chiudeva o effettuava tagli del personale, ecco che esplodeva la protesta di tutto il comparto economico, ma non solo.
Misure di aiuto concrete (oggi vengono definiti, con una brutta locuzione, ammortizzatori sociali) venivano applicate istantaneamente per garantire un reddito dignitoso ai lavoratori colpiti dai provvedimenti di licenziamento o di interruzione dell’attività lavorativa.
Cassa integrazione, prepensionamenti, ricollocamenti, tutti facenti parte di quel “Assistenza” che a detta di molti economisti contribuì a far esplodere il debito pubblico italiano, causa dello sfacelo di questi anni.
Oggi, nel solco dello smantellamento del welfare, la sanità pubblica viene costantemente soggetta a tagli indiscriminati, inducendo i cittadini a dirigersi verso la sottoscrizione di polizie assicurative sanitarie private.
Una vera e propria rivoluzione oscurantista.
Secoli di battaglie per il diritto alla salute che verranno immolate sull’altare di loschi interessi affaristici di multinazionali finanziarie.
Pazzesca e allucinante la prospettiva che ci attende.
La paura della malattia sarà amplificata dal timore di non possedere le risorse economiche sufficienti per le cure.
Ma non solo.
Gli assegni pensionistici che verranno elargiti non saranno sufficienti a garantire un esistenza dignitosa.
Una vera e propria schiavitù ci attende.
Senza un lavoro sicuro, senza la certezza di una sanità pubblica garantita, senza una previdenza sufficiente, non saremo più “cittadini liberi”, ma schiavi delle nomenklature di stampo dittatoriale.
Nomenklature che hanno progettato un disegno di neo-schiavismo mondialista a cui nessuno vuole o riesce opporsi.
Mi preme sottolineare, invece, un aspetto che contraddistingueva lo scorso secolo.
Lo stato di disoccupazione, veniva risolto grazie alle numerose offerte di lavoro che permettevano la riassunzione quasi immediata.
Il principio che permeava tutto il mondo del lavoro era l’assioma assoluto che nessun cittadino doveva rimanere senza alcun reddito.
La sanità era un diritto inviolabile.
La previdenza era una sicurezza a difesa delle persone anziane, di coloro che con i loro lavoro e le loro tasse avevano contribuito a costruire il Paese a sviluppare la nazione e il benessere.
Molti economisti facenti parte dell’elite mondialista sono soliti definire questi capisaldi di uno stato democratico e civile assistenzialismo, avventatezza, miopia dei “vecchi” governanti.
Venga definita come si vuole quella “politica”.
Una cosa è certa: al centro di tutto e sopra tutto, vi era il cittadino lavoratore; l’economia, la finanza, l’austerità rimaneva un gradino sotto; erano distanti anni luce, giustamente, dall’intaccare la vita delle persone.
Sono i principi enunciati dalla Costituzione italiana all’articolo 3 e all’ articolo 4.
“……E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. (art.3)
“La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove condizioni che rendano effettivo questo diritto.” (art.4)
Chi era senza reddito da lavoro, era dovuto alla volontà personale della cittadino.
Ora, invece, lo stato di precarietà, la disoccupazione “perpetua”, lavoratori senza reddito da lavoro o senza pensione (i cosiddetti esodati) sono una consuetudine, una “normalità” dei nostri giorni, della nostra epoca ipertecnologica e globalizzata.
Una “normalità” che indica l’apatia, l’abulia di noi cittadini lavoratori e non.
Impensabile all’epoca dei nostri genitori o dei nostri nonni.
Mi piace citare come esempio quello che accadde ad inizio anni 90.
Ricordo le manifestazioni di protesta che bloccarono il Paese allorché, nel 1992, il governo Amato “bloccò” per alcuni mesi accesso alla pensione di anzianità (erano i lavoratori con 35 anni di contributi da lavoro che avrebbero potuto andare in pensione percependo il loro assegno mensile), per far fronte alla crisi monetaria che portò alla svalutazione della Lira (all’epoca con la moneta sovrana nazionale,si poteva svalutare le monete nazionali che permettevano di ridare competitività ai Paesi in stato di crisi).
Nessuno rimase senza reddito, seppur molti lavoratori colpiti da quel provvedimento si sentirono defraudati di un loro “sacrosanto” diritto.
Quanto sono distanti quegli anni.
Quanto sono distanti dalla vita reale i nostri politici nazionali ed europei.
Quanto sono cambiati i cittadini.
Nessuna protesta, nessun moto solidaristico; mancanza assoluta di consapevolezza di quale futuro ci stanno preparando a noi, e alle generazioni che verranno.
Un mondo dove prevarrà l’ individualismo, l’egocentrismo: un mondo diretto verso la completa e totale schiavitù dove la dignità personale sarà solo un vecchio ricordo, una sbiadita immagine dei nostri genitori: la Dignità, caratteristica principale che possedevano e che nessuno si permetteva di togliergli.
Volti di persone orgogliose, di persone che si sentivano parte dello Stato.
Ora lo Stato lo si considera lontano, alieno, ostile.
E l’ostilità, la lontananza dello Stato ai suoi cittadini seppur “anestetizzati”, provocherà una repulsione inevitabile perchè come diceva Tito Livio “saldo è lo Stato in cui si obbedisce volentieri”.
Ho l’impressione che prima o poi “l’etere” iniettato nelle menti del popolo finirà il suo effetto e la stabilità delle Istituzioni diverrà piuttosto traballante………………….
Massimo Puricelli
Castellanza(VA)
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