Così, tanto per ricordare.
Quelli che paragonano il gol del portiere del Benevento alla sconfitta in casa contro la Cavese nel campionato cadetto 82/83, non conoscono nulla di quel periodo.
Sarò considerato un masochista, un passatista, ma quella sconfitta nel novembre 1982 (io c’ero) non la considero un’onta, una vergogna.
No perchè se riguardo quegli spalti senza copertura, senza seggiolini, con un schermo meccanico-elettrico con un orologio analogico rivedo una folla di tifosi innamorati di quella maglia, di quei colori, di quello stemma.
Un amore profondo, ancora più vivo dopo la retrocessione in B.
E poi rivedo la speranza in tutti noi, nonostante le due retrocessioni, la voglia di rivalsa, la certezza della “forza del popolo” rossonero che non aveva eguali.
Un amore prodotto anche e soprattutto dal senso di appartenenza alla maglia di quei giocatori giovani e non.
E’ in utile e superfluo ricordarne i nomi, perchè quei nomi, poi, verranno scritti sulle pagine della storia del calcio mondiale, ma quel loro attaccamento a quella maglia a strisce rossonera era il completamento e il naturale proseguo della incrollabile fede di milioni di milanisti che niente e nessuno poteva distruggere (“la fede morirà con noi, non prima”, recitava un vecchio slogan della curva).
Ora, invece, di quella “atmosfera” non vi è traccia, e il gol del portiere dei sanniti non è altro che la logica conseguenza di cosa sia oggi il Milan, di quanti “occasionali” assiepano gli spalti di S.Siro in questa stagione, di come sia lontana e sconosciuta la vera identità milanista, per i quadri dirigenziali, societari, per lo staff tecnico (Gattuso escluso), per i giocatori lautamente retribuiti che baciano la maglia anche se solo qualche settimana prima ne baciavano un’ altra o mostravano “urbi et orbi” di sciacquarsi la bocca agli avversari dopo una loro segnatura, o inondano il web di post e tweet per dichiarare il loro animus pugnandi.
Ma quale animus pugnandi ?
Nulla di paragonabile nemmeno al “minimo sindacale” rispetto a quanto mostravano quei calciatori che scesero in campo contro la Cavese e che disputarono quel campionato cadetto (vinto con ritorno in A) con un S.Siro sempre strapieno.
Sono trascorsi 35 anni e io sono un “fossile” che ama quegli spalti, i miei beniamini di quel Milan Cavese, quel Milan in toto.
Il “vero Milan” dei veri milanisti.
Oggi sono solo degli ologrammi digitalizzati.
Quelli che paragonano il gol del portiere del Benevento alla sconfitta in casa contro la Cavese nel campionato cadetto 82/83, non conoscono nulla di quel periodo.
Sarò considerato un masochista, un passatista, ma quella sconfitta nel novembre 1982 (io c’ero) non la considero un’onta, una vergogna.
No perchè se riguardo quegli spalti senza copertura, senza seggiolini, con un schermo meccanico-elettrico con un orologio analogico rivedo una folla di tifosi innamorati di quella maglia, di quei colori, di quello stemma.
Un amore profondo, ancora più vivo dopo la retrocessione in B.
E poi rivedo la speranza in tutti noi, nonostante le due retrocessioni, la voglia di rivalsa, la certezza della “forza del popolo” rossonero che non aveva eguali.
Un amore prodotto anche e soprattutto dal senso di appartenenza alla maglia di quei giocatori giovani e non.
E’ in utile e superfluo ricordarne i nomi, perchè quei nomi, poi, verranno scritti sulle pagine della storia del calcio mondiale, ma quel loro attaccamento a quella maglia a strisce rossonera era il completamento e il naturale proseguo della incrollabile fede di milioni di milanisti che niente e nessuno poteva distruggere (“la fede morirà con noi, non prima”, recitava un vecchio slogan della curva).
Ora, invece, di quella “atmosfera” non vi è traccia, e il gol del portiere dei sanniti non è altro che la logica conseguenza di cosa sia oggi il Milan, di quanti “occasionali” assiepano gli spalti di S.Siro in questa stagione, di come sia lontana e sconosciuta la vera identità milanista, per i quadri dirigenziali, societari, per lo staff tecnico (Gattuso escluso), per i giocatori lautamente retribuiti che baciano la maglia anche se solo qualche settimana prima ne baciavano un’ altra o mostravano “urbi et orbi” di sciacquarsi la bocca agli avversari dopo una loro segnatura, o inondano il web di post e tweet per dichiarare il loro animus pugnandi.
Ma quale animus pugnandi ?
Nulla di paragonabile nemmeno al “minimo sindacale” rispetto a quanto mostravano quei calciatori che scesero in campo contro la Cavese e che disputarono quel campionato cadetto (vinto con ritorno in A) con un S.Siro sempre strapieno.
Sono trascorsi 35 anni e io sono un “fossile” che ama quegli spalti, i miei beniamini di quel Milan Cavese, quel Milan in toto.
Il “vero Milan” dei veri milanisti.
Oggi sono solo degli ologrammi digitalizzati.
Massimo Puricelli
Castellanza(VA)
Castellanza(VA)