Dai dati recentemente pubblicati da centro studi DynamicTick, pubblicati dal sito Affaritaliani.it, è emerso un forte calo degli spettatori presenti negli stadi italiani nelle prime due giornate di campionato di questa stagione appena iniziata. Una contrazione dell’ 8% .
Stadi mai così vuoti negli ultimi 10 anni.
Dati preoccupanti senza che nessuno del “Mondo pallonaro” abbia fornito una ben che minima spiegazione, una minima giustificazione.
Del resto, era ed è comprensibile visto che il calcio italico è ormai prossimo al fallimento.
E le responsabilità di questo sfascio sono da suddividersi in parti uguali della “Triade” su cui si erge tutto il settore.
Calciatori, amministratori e proprietari delle società professionistiche, semiprofessionistiche e dilettantistiche, e i procuratori dei giocatori.
Sono paragonabili alla figura mitologica greca, Atlante.
Sulle loro robuste (?) e aitanti (?) spalle sorreggono e, soprattutto, spostano a loro piacimento il “Pianeta calcio”.
Da quanto si osserva il loro movimento orbitale è ormai direzionato al di fuori della galassia a cui appartiene il mondo reale, l’economia globale. Nella loro movimento extracosmico hanno impresso una forza gravitazionale verso universi ignoti distanti anni luce dalla nostra dimensione.
Una direzione intrapresa in cui non vi sarà ritorno.
In ordine sparso.
Società indebitate per milioni di euro alla ricerca spasmodica di nuovi investitori e proprietari da realtà lontane (Emirati Arabi, Cina, Estremo Oriente, Stati Uniti, ecc.) che tutto posseggono, eccetto la componente sentimentale (l’aspetto fondamentale nel calcio).
Il fine di questi nuovi magnati è legato unicamente alla nuova “immagine” che le loro nazioni di appartenenza vogliono trasmettere alle alte sfere finanziarie globali, ai mass-media, alla popolazione, al mondo intero. 
Marketing, diritti televisivi, merchandising, tutti strumenti per far breccia nel mercato globale, per dominare l’economia ancor più facilmente attraverso un settore, il calcio, lo sport più popolare al mondo, che abbatte qualsiasi barriera e appiana qualunque remora o qualsivoglia scetticismo.
Progetti, pianificazioni, target che sembrerebbero indistruttibili, ma che in realtà non comprendono “l’anima  del tifoso vero” a cui è difficile, per non dire impossibile, estirpare la passione e il senso di appartenenza retaggio di eredità decennali.
Nella loro onnipotenza mediatica, economica, sono certi di poter modellare il calcio secondo i loro voleri.
Certo, questi nuovi tycoons non hanno fatto altro che seguire una direzione tracciata dai “vecchi” proprietari “folgorati” sulla “strada” dei lauti guadagni elargiti dai network multinazionali (pay-tv) e dai miraggi del marketing più sfrenato.
Un’ idrovora senza fondo che aspira sempre più risorse e che costringe a trovare sempre nuove forme di guadagno, nuovi elementi profittevoli per far fronte alle sempre più esose richieste di ingaggio dei calciatori.
Ormai il calcio è un pianeta alla deriva con caratteristiche “aliene”.
Orari assurdi in cui si disputano le gare. 
Anticipi stabiliti al venerdì sera (20:45) per poter disputare l’anticipo del turno infrasettimanale, che a sua volta è stato inserito in calendario perchè i protagonisti del rettangolo di gioco, ma anche i dirigenti e tutta “la corte dei miracoli” che ronza attorno, debbono potersi godere delle sacrosante festività natalizie. Non importa se, sempre per fini legate alla carta filigranata, si disputa la Supercoppa al 23 dicembre in terra emira (Doha), e chissenefrega se lo sbalzo termico è da collasso circolatorio, e alla vigilia del Santo Natale lor signori saranno a bordo dei jumbo jet che li catapulteranno nelle più rinomate località di vacanza dei paesi esotici.
Del resto la pecunia dei petrodollari è alquanto ambita e non importa se il sole rovente del deserto arabico percuote le cervici dorate dei giocatori. 
Nulla quaestio nel deserto arabico, al contrario del sole estivo delle nostre lande che considerato è pericoloso per la loro cagionevole salute.
Levata di scudi generale per salvaguardare l’incolumità dei “campioni” in braghette e maglietta.
E allora si stabilisce che i turni agostani del campionato si disputino in notturna e, da questa stagione, previsti anche i time-out di alcuni minuti se la temperatura sale oltre i 30°, per consentire un’ idratazione adeguata.
Per non cadere in facili populismi (per altro, sono un cultore del populismo perchè è lo considero l’ultimo baluardo per coloro che non hanno “santi in paradiso”), non citerò come esempio i lavoratori a 1000 euro mensili che svolgono la loro mansione per ore sotto il solleone, ma porterò come esempio i colleghi di altri sport professionistici che per ore gareggiano in condizioni climatiche estreme senza alcuna aprire alcuna “vertenza sindacale”.
Tanto per rammentare: ciclismo (anche 6 ore di gara, con medie di temperatura dell’aria oltre i 34°), piloti di automobilismo chiusi in abitacoli angusti con l’asfalto oltre i 40°, maratoneti che percorrono km 42,1, marciatori 50 km.
Capito? 
I “delicati” calciatori no, anche che se per la maggior parte dei 90 minuti della partita, percorrono 8/9 km in area per lo più ombreggiata dagli spalti e dalle coperture delle strutture.
Il caldo infernale del nostro Paese non è sopportabile ed è pericoloso e si adoperano tutte le cautele previste dai protocolli Uefa.
Evidentemente questi protocolli salvifici non vengono adottati per il clima “piacevole” delle partite in notturna durante i mesi invernali con temperature abbondantemente sotto zero.
No, quelle temperature sono corroboranti per le membra di giocatori, e soprattutto degli spettatori presenti sugli spalti.
Spettatori eroici che si sobbarcano centinaia di chilometri nella nebbia fitta, sotto piogge battenti per essere presenti sugli spalti infagottati per difendersi dal gelo pungente che provoca l’intorpidimento degli arti, lividi e dolenti come quelli dei reduci dell’ ARMIR (mi scuseranno quegli eroi se ho osato fare questo paragone).
Controlli minuziosissimi all’ingresso degli impianti con sistemi di schedatura sofisticatissimi, foto segnaletiche e, non mi stupirei se presto saranno adottati scanner ottici e rilevatori di impronte digitali.
Prezzo dei tagliandi sempre più cari; parcheggi adiacenti gli stadi con tariffe degne di Montecarlo o Cortina e merchandising a livelli delle maggiori boutique delle grandi firme dell’alta moda.
Solerti stewards che impediscono lo stazionamento sulle scale anche per pochi istanti, per ragioni di sicurezza (anche se gli spalti sono desolatamente vuoti, simili ormai, a “riserve indiane”) e poi non intervengono per redarguire un genitore che lascia gigioneggiare il figlio (probabilmente solo da poco, l’infante, ha superato il periodo in cui si muoveva “a gattoni”) sporgendosi pericolosamente dalla transenna della balconata prospiciente il terreno di gioco con un salto di oltre 2 metri.
Dolori e scomodità sopportabili per la “difesa” del blasone, della storia, dei colori che amano.
Ma, del resto Pay-tv impera.
Pay-tv e marketing che hanno trasformato i calciatori in divi.
Divi, sì, ormai non più definibili atleti sportivi, ma star del jet-set.
Star che cambiano look su indicazione dei loro consulenti di immagine.
E allora ogni settimana ecco mutare la capigliatura; capelli corti, lunghi, mezzani, colorati con varie e differenti nuance; creste, semi creste, scalpi più o meno variegati, con barba , senza barba, basette,baffi , baffetti, pizzetti, con gli immancabili orecchini diamantati, smeraldati, platinati e i vistosi tatuaggi che occupano ogni centimetro di epidermide.
Circondati e accompagnati dalle più famose top-models, veline, letterine, le cosiddette Wags, che non si accontentano più di essere la “dolce metà” del calciatore famoso; no, sono diventate anche le procuratrici, coloro che curano i loro “esosi interessi” e che impongono destinazioni, contratti, carriere.
“So ragazzi….” dice la vulgata; ma quanto sono distanti questi “ragazzi” dai “ragazzi” di qualche decennio fa, che possedevano il senso di appartenenza e di responsabilità.
Da quei valori era facile “trovare” il campione vero e non il campione costruito dalla vacuità dell’apparire.
Un mondo globalizzato dove i giovani autoctoni si sentono stranieri in Patria.
Un sistema marcio dove non è consentita alcuna presa di posizione a difesa dell’italianità, tanto che se si “denuncia” l’invasione incontrollata di giovani calciatori da ogni angolo del Pianeta, oggetti di puro lucro dei soliti intrallazzatori che abbondano nel sistema, vengono subito tacciati di razzismo (sarebbe d’uopo leggere con attenzione l’intervista rilasciata alla Gazzetta dello Sport dell’ex primavera della Lazio, Cardelli, giocatore della primavera, quale sia l’ambiente dei settori giovanili).
sarebbe utile conoscere il numero degli abbonati alle piattaforme televisive che trasmettono le partite.
E , invece, no.
Non è dato a sapersi il trend del numero di abbonati alle piattaforme digitali; pare il “Terzo Segreto di Fatima”.
Evidentemente il “mistero” che circonda quei numeri, cela un andamento negativo preoccupante per le voraci casse del movimento internazionale.
Ma, ogni avvenimento, ogni fenomeno della vita terrena possiede un limite oltre il quale si verifica il “naturale” dissolvimento in polvere.
Ebbene, il “pianeta calcio” è ormai fuori dall’orbita terrestre; fuori dalla galassia conosciuta; fuori dalla Via Lattea; è un corpo alieno che scomparirà nell’immensità dell’universo, se la rotta non verrà invertita.
Errare humanum est, perseverare diabolicum.
Ma di “umano” a “questo calcio” sono rimasti solo i tifosi che, sempre più numerosi, stanno abbandonando il “corpo celeste” denominato Football.     
 
Massimo”old-football”Puricelli
Castellanza(VA)