Lo sport professionistico è caratterizzato in maniera preponderante dall’aspetto business.
Se decenni orsono soprattutto gli sport individuali avevano una maggiore impronta affaristica (automobilismo, motociclismo, tennis, ecc.) ora anche gli sport di squadra maggiormente popolari dove una volta la passione, il tifo, il sostegno dei tifosi erano le componenti peculiari adesso tutto ciò è stato superato dal marketing, dai bilanci, dagli introiti, in una parola : dalla finanza.
Un trend importato dallo sport professionistico statunitense dove le diverse “franchigie” si trasferiscono da una metropoli ad un’altra se non addirittura da uno Stato ad un altro a seconda delle potenzialità economiche che quel territorio fornisce, a seconda dei maggiori ricavi che si possono avere.
Grazie al cielo in Italia a tale livello non siamo ancora arrivati e nemmeno in Europa, tuttavia in alcuni casi quel tipo di esempio ha avuto un seguito anche da noi seppur non di tale portata.
Campionato di Basket di serie A italiano.
La squadra più titolata è l’Olimpia Milano anno di fondazione 1936.
Ventisei scudetti vinti l’ultimo dei quali la scorsa stagione.
Una vittoria tricolore che mancava da ben 18 anni.
Ebbene gli ultimi due scudetti hanno una caratteristica in comune.
La squadra era una “migrazione” in massa di due compagini di altre città.
Nel 1996 era la Stefanel di Trieste che il patron triestino famoso imprenditore nel settore abbigliamento aveva trasferito in toto dopo l’acquisizione dell’Olimpia due anni prima.Un trasferimento dettato dalla mancata costruzione di un nuovo palazzetto nella città Giuliana profonde divergenze con l’amministrazione comunale. Questa la versione ufficiale, in realtà la vulgata comune sosteneva che i motivi preponderanti che spinsero al trasferimento a Milano erano di potenzialità economica maggiore che la metropoli lombarda poteva garantire  
I giocatori e il tecnico Tanjevic erano gli stessi che disputarono una storica semifinali due anni prima.
Una squadra che aveva poco a che fare con Milano se non per il giovane del vivaio Portaluppi.
Dopo 4 anni e una finale persa in Coppa Europa così come repentinamente era arrivato, così celermente Stefanel lascia e la società passa di mano in mano fino a sfiorare il fallimento e la cessione del titolo sportivo.
Nel 2004 prima con mai sponsor poi come proprietario arriva Giorgio Armani che riporta l’Olimpia ai vertici del basket italiano senza però riuscire a vincere nessun titolo italiano che erano preda della corazzata Mens Sana Siena sponsorizzata Montedeipaschi.
Nel 2013/14 l’Olimpia acquista l’allenatore scudettato senese banchi e alcuni giocatori dello starting-five della Mens Sana.
Un po’ come era accaduto con Stefanel eccetto il patron.
Ma queste “migrazioni”, questo progetti che con lo sport hanno poco a che vedere sono caratterizzati da un aspetto peculiare: sono assolutamente effimeri.
Non c’è senso di appartenenza alla maglia, senso della storia, del blasone, della città da parte dei giocatori che sono veri e propri “professionisti” in tutto e per tutto e quando occorre metterci quel quid in più che serve nei momenti di difficoltà ecco che si sciolgono come neve al sole.
Scatti d’ira, mancanza di animus pugnandi, ognuno per se e Dio (dio-denaro) per tutti ecco cosa è capitato a Milano nella serie della semifinale scudetto di quest’anno; eliminazione in gara sette contro Sassari all’over-time, davanti al proprio pubblico ieri sera.
Tanta riconoscenza per Giorgio Armani che ha salvato il titolo sportivo, ma che evidentemente non conosce bene la storia della società che aveva sede in via Caltanisetta (ormai anche quel luogo non esiste più) e non riesce a distinguere e a discernere bene la differenza che esiste tra una compagine sportiva e un’ azienda di alta moda.

Entrambe hanno uno “stile ineguagliabile” hanno un “nome” conosciuto nel mondo ma nello sport sono preponderanti ancora la passione, il tifo, il senso di appartenenza e meno la quotazione in borsa, la griffe, i mercati finanziari.

Oggi, l’Olimpia Milano è rappresentata principalmente dal suo caloroso e numeroso pubblico.

Ecco cosa rimane della leggenda delle “scarpette rosse” di Cesare Rubini, di Bill Bradley (che diventò senatore USA alla fine della carriera cestistica), che posticipò la chiamata dell’ NBA per conoscere la cultura e la lingua italiana, di Sandro Gamba prima giocatore poi allenatore di storiche vittorie, o degli invincibili di coach Dan Peterson come D’Antoni, Premier, Boselli, Meneghin, MacAdoo, il pubblico del Palalido (a proposito quando sarà ultimata la ricostruzione caro Comune di Milano?), del Palazzone a San Siro crollato come un castello di carte dopo la nevicata del gennaio 1985, o del Palatrussardi che ora è una moschea semi regolare, o del lontano Forum più famoso per i concerti che per le gesta dell’Olimpia.
Ecco, quel pubblico di appassionati che negli anni 80 esponeva orgogliosamente lo striscione che recitava: Pallacanestro Olimpia Milano un Nome, un Mito, una Leggenda.
Ecco su quali “pilastri” deve sostenersi l’Olimpia Milano: la sua storia, il suo pubblico, la sua città.
Tutto il resto non gli appartiene.
Massimo Puricelli
Castellanza(VA)