1 Maggio 1988, 1 Maggio 2018. Sono trascorsi trentanni dal quel pomeriggio in cui iniziò l’epopea meravigliosa dell’AC Milan.
Stamani rimembrando quel Napoli Milan ero convinto che l’emozione vissuta fosse, se non svanita, affievolita, invece riguardando le immagini di quella partita, la suggestione insita in me, si è ridestata, così come i ricordi.
Giornata assolata, luminosa, con un clima piacevole quel 1 maggio 88.  
Totalmente opposta rispetto il sabato allorchè la città partenopea era avvolta da una coltre nuvolosa che sfociò in un pioggia battente durante le ore pomeridiane.
“Voi milanesi ci avete portato la mestizia della pioggia” così mi additarono come il colpevole, i cittadini napoletani non appena udivano il mio accento da “nordico”. “Non importa, domani Maradona vi farà vedere il sole…”, aggiungevano allo sfottò.”Domani vedrete i quanti colori scintillanti brilleranno sulle tribune del S.Paolo”.
E poi gli insulti al pulmann del Milan non appena parcheggiò davanti l’albergo del centro dove avrebbero trascorso la notte del ritiro.
E, invece no, perchè il destino, il caso, e chissà cos’ altro compose un mosaico meraviglioso.
Il sole di quella domenica il chiarore e il tepore primaverile che abbracciò il San Paolo e i “mille colori (parafrasando la più famosa canzone di Pino Daniele con cui definiva la sua città) lo portammo noi milanisti, noi tristi settentrionali (che tristi non siamo; siamo solo giansenisti, come era solito affermare Montanelli, e le nostre bellezze le celiamo e le esponiamo con parsimonia), o meglio la compagine che stava per scendere sul rettangolo di gioco alle ore 16 .
Già quella compagine guidata da mister Arrigo Sacchi, da Fusignano, un omino scarso criniti portatore di una rivoluzione copernicana-calcistica.
E sì, perchè, quel 1 maggio di tre decenni orsono la lucentezza, la luminosità, il fulgore che si combinava con quelle condizioni atmosferiche furono generate dal gioco dei ragazzi con la casacca rossonera.
Ancora oggi, sono convinto che mister Arrigo era solito indossare occhiali da sole durante le partite perchè era abbacinato dallo splendore del gioco che esprimevano le sue squadre.
Ma anche noi, i mille tifosi al seguito, assiepati in un piccolo scampolo dei distinti inferiori eravamo “armati” con le mille bandiere colorate che esibimmo con orgoglio, sventolandole e invitando Maradona a guardale bene nonostante il suo proclama intimidatorio pre-partita con il quale non voleva vederne nemmeno una.
Un procclama dettato dalla paura di vedersi scucire dalla maglia il tricolore.
Assistemmo ad un’ apoteosi, nonostante una porta di riserva posizionata “casualmente” proprio davanti al settore ospiti, nonostante l’incensante lancio di ogni genere di oggetti (con buona pace del gemellaggio, ma si sa che in amore e in guerra, e aggiungo anche nel calcio, tutto è lecito), nonostante la punizione capolavoro di Maradona all’ultimo minuto del primo tempo.
Il destino era segnato.
2-3 e sorpasso.
Al triplice fischio ebbi un attimo di smarrimento.
Ebbi il timore di vivere un sogno, visto che proprio sei anni prima in quello stesso stadio fu sancita la nostra seconda retrocessione in cadetteria grazie ad una partita definiamola “poco chiara” (uso un eufemismo).
Fortunatamente non era un sogno. Era una splendida realtà; meglio, l’inizio di un’ epopea mozzafiato.
La nemesi calcistica si era palesata in tutta la sua bellezza.
Anche oggi a distanza di 30 anni l’emozione è ancora viva.
Chissà che si possa rivivere un altro pomeriggio così.
Spes ultima dea…
 
Massimo Puricelli
Castellanza(VA)