Il derby, ogni derby, qualunque derby è un’emozione.
Non ha tradito le attese quello della Madonnina di ieri sera.
Emozioni che sono la linfa vitale della passione dei tifosi; il miglior viatico per rinfocolare il senso di appartenenza ai colori, al blasone, alla storia dei club.
E allora potrei descrivere tanti aspetti salienti che hanno caratterizzato il derby di ieri sera numero 165.
Potrei descrivere le magnifiche coreografie delle due curve; quella rossonera che ha voluto omaggiare i 30 anni di presidenza Berlusconi, riproducente la famosa immagine del Presidente che abbraccia i trofei vinti durante la reggenza, o la nord interista che si attribuiva l’esclusiva tradizione meneghina con una serie di striscioni in dialetto milanese, sottotitoli dello stendardo araldico del casato degli Sforza.
Potrei rimarcare ancora una volta, la “tristezza” e la nostalgia per le stracittadine disputate nelle ore pomeridiane della domenica dove la luce del giorno creava un’atmosfera rassicurante, di vivida tradizione, anche quando la nebbia padana abbracciava il catino di S.Siro donandole un aspetto ancora più meneghino, ancora più “nostro”. Evidentemente il comportamento esemplare delle due tifoserie in questi anni, invece, di essere premiato con la disputa del derby al pomeriggio, per volere delle pay-tv, assistiamo allo spettacolo calati nelle tenebre serali con rientro a casa a tarda notte.
Potrei continuare nella mia critica sulle storture del calcio-business, manifestando la paura, l’angoscia per la grande incognita inerente alla nuova proprietà cinese in procinto di acquistare l’Ac Milan, molto simile a un “Godot” di cui non si posseggono certezze, notizie chiare e esaustive che rasserenino e rassicurino gli animi dei tifosi giustamente preoccupati del futuro della loro squadra.
Nuovi tycoons del Paese dei Mandarini che hanno già posto le loro armate sulla sponda opposta del Naviglio, rovesciando nell’ esangue forziere nerazzurro centinaia di milioni di euro, attratti dalla forza mediatica dello sport più popolare al mondo, che viene utilizzato come testa di ponte per conquistare in toto il Vecchio Continente.
Potrei stigmatizzare la scelta delle casacche dei 22 protagonisti, talmente simili, che risultava difficile distinguere i giocatori, tanto da generare una totale confusione sotto la luce artificiale dei riflettori, dove anche i numeri affissi sulla schiena avevano un tono cromatico affine (giallo fluo l’Inter, oro/argento il Milan), con il beneplacito della terna arbitrale (pardon il sestetto) che non ha imposto almeno durante l’intervallo il cambio delle casacche.  
La gara è stata intensa, seppur non bellissima, ma del resto le due squadre non possono ambire a raggiungere i vertici del calcio europeo.
Il Milan è una compagine di giovani di belle speranze (Locatelli essenziale e decisivo in un paio di chiusure); i terzini svagati e disattenti (De Sciglio e Abate); un Gomez confusionario che ha trasmesso molta incertezza al suo compagno di reparto Paletta; con Kucka e Niang in condizioni atletiche non eccellenti e un Bacca svagato e inconcludente; sono emersi dalla mediocrità le due individualità eccellenti in termini di tecnica (Suso e Bonaventura) pronti a sfruttare anche la minima occasione per colpire l’incerta e traballante difesa avversaria; risultato, doppietta di Suso con assist di Bonaventura, un guastatore di classe e intelligenza che sa prendere per mano la squadra nei momenti topici. Una prestazione superlativa quella espressa dal giocatore Andaluso (chissà avrà tenuto fede alla promessa pre-derby e ha percorso a piedi il tragitto dallo stadio alla sua residenza -circa 45 km), ormai vera rivelazione del campionato.
L’ Inter è un cantiere aperto dopo tre allenatori dall’inizio della stagione, e nonostante un possesso palla superiore ha prodotto solamente un paio di pericoli alla porta di Donnarumma, mai realmente impegnato.
Una squadra, quella nerazzurra espressione di solisti e individualisti con l’assenza di schemi di gioco (del resto Pioli è arrivato solamente da qualche giorno), dove sembra ravvisarsi uno scollamento tra i vari giocatori con un’antipatia, ormai atavica, verso il capitano Icardi isolato al centro dell’attacco e lasciato al suo destino senza alcun coinvolgimento nel gioco (probabilmente questo isolamento non dipende solo da una questione tattica, ma anche da tutto il jet-set mediatico e modaiolo che circonda il ragazzo argentino; chiedere conferme anche al CT argentino Bauza e ai compagni di nazionale); una compagine che ha riacciuffato il pareggio due volte grazie ad un exploit magistrale di Candreva (gran tiro dal limite) e da un errore su calcio d’angolo della retroguardia milanista ad una manciata di secondi dal triplice fischio, scatenando la gioia dei suoi sostenitori ormai rassegnati alla sconfitta (e che gioia, perchè non c’è niente di meglio di un gol decisivo nella stracittadina allo scadere del tempo).
Un pari fondamentalmente giusto che ha prodotto emozioni portando dalla gioia alla delusione e viceversa, gli oltre 70 mila spettatori presenti sugli spalti. 
Potrei descrivere solo quelle emozioni che mi hanno pervaso nell’umidità del mio seggiolino.
Potrei, ma quelle sensazioni sono svanite e sostituite a pochi minuti dalla fine dell’incontro, assistitendo alle concitate operazioni di rianimazione da parte del personale sanitario ad uno spettatore vittima di un serio malore (un attacco cardiaco, si è saputo più tardi, con il paziente in serio pericolo di vita) seduto a poca distanza da me.
Un fulmine, un bagliore che mi ha destato dalla trance agonistica che stavo vivendo, riportandomi alla realtà più vera, ad una realtà drammatica.
E allora il rettangolo di gioco, i calciatori, i cori, le urla, il pallone, le azioni i gol stavano evaporando davanti ai miei occhi che sbirciavano pudicamente il massaggio cardiaco, la flebo contenente probabilmente adrenalina, e gli sguardi preoccupati dei soccorritori.
Ho pensato che, per un istante, si sarebbe potuto fermare lo show, come è accaduto su altri campi recentemente (derby Perugia Ternana dello scorso 18 settembre, interrotto negli ultimi minuti per agevolare i soccorsi e per rispetto nei confronti dello sfortunato tifoso), anche in virtù di certi disgustosi atteggiamenti di alcuni spettatori che manifestavano il loro cinismo scattando immagini con il loro smartphone, dando di sè la pessima immagine di cosa sia la società odierna impregnata di protagonismo, presenzialismo, egocentrismo suffragato dai sistemi tecnologici digitali che stanno trasformando la realtà vera, in una realtà virtuale dove tutto è effimero, intangibile, vacuo (anche la malattia, la morte).
Chiedevo troppo, probabilmente, visto quali interessi economici, sportivi e televisivi rappresenti il derby di Milano, ma anche quello di Roma , di Torino o di Genova.
Così a pochi minuti dal termine ho abbandonato il mio posto e ho lasciato lo stadio poco prima che Perisic segnasse il gol del pareggio.
La pietas per quell’uomo mi ha indotto a lasciare quel luogo come segno di rispetto per la vita, troppo spesso svilita.
Ho compreso che il derby fosse terminato in parità udendo il boato della curva interista mentre percorrevo piazzale Axum accingendomi a raggiungere l’autovettura sotto una fitta pioggia che amplificava nel mio animo la mestizia, l’amarezza, lo sconforto, pensando che non sempre “The show must go on”.
 
Massimo”old-football”Puricelli
Castellanza(VA)